Karl Marx (1818-1883) nel saggio intitolato Il capitale, pubblicata nel 1867, interpreta il concetto di salario e lavoro la nota teoria del plusvalore.
LA TEORIA DEL PLUSVALORE
Semplificando, il fulcro di questa teoria è che il salario
non costituisce il corrispettivo della ricchezza che il lavoratore produce con
la sua attività, ma solo la cifra con cui il capitalista compra la sua forza-lavoro,
ossia la sua disponibilità a lavorare.
Il Plusvalore designa quel "sovrappiù" di valore
che il lavoratore è in grado di realizzare, in un tempo determinato grazie alla
sua attività, ma di cui si è sistematicamente defraudato dal capitalista.
IL SAGGIO DI PROFITTO E LA SUA CADUTA
L'accumulazione del plusvalore è il presupposto per la
crescita dell'economia capitalista, ma a lungo andare è, secondo Marx, il
meccanismo occulto che ne decreterà il crollo inesorabile. Proseguendo nella
sua analisi, infatti, Marx sostiene che l'effettiva percentuale di guadagno
realizzata dall'imprenditore, che egli denomina saggio di profitto, scaturisce
dal rapporto tra il plusvalore stesso e le spese necessarie per la produzione,
cioè il capitale variabile, ossia il costo dei salari, sommato al capitale
costante, ovvero al denaro investito nell'acquisto di materie prime, macchinari
e altre risorse inanimate.
Il progressivo incremento della meccanizzazione, a cui si
assiste nella società industriale, fa crescere la quota del capitale costante
rispetto a quella del capitale variabile. Ciò può apparire, a prima vista, un
fattore di guadagno, giacché l'impiego delle macchine permette di ridurre la
manodopera e di tagliare così le spese sui salari.
Ma il risparmio sul capitale variabile è in realtà un vero e
proprio boomerang: esso riduce infatti il plusvalore - fondamento stesso del
profitto - perché questo può scaturire solo dal lavoratore e non dalla
macchina. A ciò si aggiunge il fatto che l'impoverimento della classe
lavoratrice, minacciata dalla disoccupazione, restringe il numero dei
potenziali acquirenti delle merci prodotte, rendendone così impossibile lo
smaltimento e vanificando di fatto l'aumento della produttività che la
meccanizzazione ha generato.
Il risultato, secondo Marx, è una caduta inesorabile del
saggio di profitto, drammaticamente in contrasto con l'incremento di ricchezza
che il sistema capitalistico persegue, e destinata, a lungo andare, a fare
precipitare quest'ultimo in una crisi senza ritorno.
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